Yanukovich “malato”, Mosca congela il prestito

Il presidente lascia Kiev per destinazione sconosciuta. Il governo russo smentisce Putin blocca il prestito di 15 miliardi di dollari “finché non si chiarisce come verrà usato” (e da chi)

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Tira una brutta aria per il presidente ucraino – tanto da farlo ammalare e sparire da Kiev per una località imprecisata. Pressione alta, febbre, ecc., così recita il bollettino medico rilasciato stamattina. Può darsi naturalmente che la salute del presidente sia davvero compromessa, ma certo la sua sparizione dalla scena pubblica ucraina cooincide con una serie di problemi tutt’altro che sanitari. Andiamo per ordine. 

1) i manifestanti in piazza – e i loro rappresentanti politici – hanno rifiutato le condizioni poste dal parlamento per il varo dell’amnistia che dovrebbe mettere in libertà tutti gli arrestati delle settimane scorse. Tali condizioni erano essenzialmente due, lo sgombero degli edifici occupati e lo smantellamento del “campo” nel centro di Kiev, entrambe rifiutate seccamente. In sostanza l’opposizione, sia nella sua ala “dialogante” sia in quella più radicale (che nei giorni scorsi si sono affrontate con violenza in più di un’occasione) sembra decisa ormai ad andare fino in fondo e a centrare il bersaglio grosso, cioè un completo cambio di regime, presidente compreso.

2) la Russia mostra di ripensare al generoso prestito concesso all’Ucraina in dicembre, 15 miliardi di dollari più uno sconto di quasi il 50 per cento sul prezzo del gas. Due giorni fa Putin aveva detto che il prestito sarebbe stato onorato anche nel caso di un cambiamento di regime a Kiev, ma ieri il governo russo (cioè il premier Dmitry Medvedev, che ha fatto risentire la propria voce dopo un lungo quasi-silenzio) ha detto che non se ne parla finché non sia chiaro in che modo l’Ucraina userà quei soldi (sottinteso: e chi sarà a usarli). Putin, presente, ha abbozzato affermando che la posizione del governo “è ragionevole”. Il tutto potrebbe esser visto come una pressione su Kiev perché la situazione venga normalizzata con le buone o con le cattive, ma potrebbe anche suonare come un tirare i remi in barca e lasciare Yanukovich al suo destino, poi si vedrà.

3) giungono segnali non molto rassicuranti dalla periferia del paese: nell’ovest iper-nazionalista ormai domina un furore anti-regime che fa temere una secessione, con diversi parlamenti regionali che si sono messi a legiferare per conto proprio e in alcuni casi hanno messo fuori legge il partito di governo e i suoi alleati comunisti; nell’est tradizionalmente pro-russo e sempre considerato una roccaforte personale del presidente ci sono state parecchie manifestazioni di protesta, in alcuni casi anche violente, e la situazione non pare per nulla rassicurante per il regime.

4) l’Europa comunitaria non mostra la sperata capacità di mediazione. Le ripetute e inconcludenti visite a Kiev di esponenti Ue non aprono nessuno spiraglio d’uscita per Yanukovich (che vorrebbe soldi e incoraggiamenti) e in compenso aumentano la convinzione di chi sta in piazza di essere sulla strada buona per vincere. Il tutto, nonostante l’evidente riluttanza della maggior parte della Ue nel sostenere una rivolta che poi l’Unione si ritroverebbe “in casa” se si arrivasse a un cambio di regime. Alcuni governi però, come quello polacco e quello lituano, insistono per “non abbandonare il popolo ucraino” e chiedono una linea più decisa contro il regime di Kiev.

5) gli Stati uniti in compenso hanno imboccato la via delle sanzioni contro il regime e alcuni dei suoi esponenti (quelli ritenuti più coinvolti nella repressione delle settimane scorse), con un pacchetto di misure messo a punto da alcuni esponenti del Congresso. Finora la posizione ufficiale americana era stata abbastanza moderata, con una telefonata del vicepresidente Joe Biden a Yanukovich nei giorni scorsi per esortarlo a non usare le maniere forti contro l’opposizione; ma nel Congresso prevale invece una visione più “militante” e interventista, al punto che già due senatori – il repubblicano McCain e il democratico Murphy – si sono recati a Kiev e hanno parlato direttamente alla folla dei manifestanti anti-regime.

Ingloriosa fine per un ex-presidente

Viktor Yushenko e Yulija Timoshenko quando uno era presidente e l'altra primo ministro dell'Ucraina

Viktor Yushenko e Yulija Timoshenko quando uno era presidente e l’altra primo ministro dell’Ucraina

E’ durata solo poche ore l’espulsione dell’ex presidente ucraino Viktor Yushenko dal partito che egli stesso aveva fondato, “Ucraina Nostra”: ma è bastata per dare una misura ulteriore, se ce ne fosse stato bisogno, di quanto il prestigio di questo personaggio sia sceso in basso negli ultimi tempi. Yushenko è stato espulso stamattina dal partito con una decisione del Comitato cittadino di Kiev, ed è stato riammesso nel pomeriggio per decisione del Consiglio politico nazionale, istanza ovviamente superiore. L’espulsione era legata formalmente a un episodio dell’anno scorso (la sostituzione di alcuni rappresentanti di lista durante le elezioni politiche) che hanno portato nei confronti dell’ex presidente a un’accusa di “tradimento degli ideali del partito”; in realtà sulla vicenda hanno pesato soprattutto le continue polemiche fra Yushenko e il resto dell’opposizione al regime, polemiche che hanno molto facilitato le cose per l’attuale presidente Viktor Yanukovich e il suo premier Mykola Azarov.

Yushenko, ricordiamo, venne eletto presidente al culmine della cosiddetta “rivoluzione arancione” del 2004-2005, dopo l’annullamento per frode elettorale della vittoria che era stata attribuita proprio a Yanukovich, allora appoggiato dal presidente uscente Leonid Kuchma e sostenuto da Mosca. Yushenko era allora il beniamino dei governi occidentali (ma in precedenza era stato primo ministro sotto la presidenza Kuchma), insieme alla “pasionaria” Yulija Timoshenko, e cercò con tutte le sue forze di imporre al Paese una politica fortemente nazionalista, addirittura rivalutando le formazioni fasciste che combatterono contro l’Armata Rossa a fianco della Wehrmacht, e di portare l’Ucraina nella UE e nella NATO, senza però riuscire nel suo intento. Dopo aver rotto anche con l’alleata Timoshenko, Yushenko si ritrovò poi completamente isolato e con una popolarità azzerata: nelle elezioni presidenziali del 2010 venne stracciato dai rivali e nelle politiche dell’anno scorso il suo partito raccolse solo poco più dell’1 per cento dei voti.

In compenso la sua testimonianza è stata abbastanza decisiva per far condannare la Timoshenko a sette anni di carcere per abuso di potere, in relazione al contratto di fornitura del gas russo all’Ucraina firmato nel 2009 dalla stessa Timoshenko e definito da Yushenko “un tradimento degli interessi nazionali ucraini”. Adesso la sua rivale langue in carcere, pare anche in cattive condizioni di salute, fra le proteste di alcuni leader occidentali e l’indifferenza del resto del mondo. Lui, Yushenko, pare sia intenzionato a lasciare comunque “Ucraina nostra” e a fondare un nuovo partito.

Nuovo codice penale in Ucraina

Da tre giorni è in vigore in Ucraina il nuovo codice di procedura penale, che va a sostituire il precedente – introdotto negli anni sessanta e rimasto praticamente inalterato da allora – e dovrebbe portare a un significativo miglioramento nei commissariati di polizia, nei tribunali e nelle carceri. Il primo miglioramento consiste nella riduzione netta della detenzione in attesa di giudizio, che da oggi non potrà superare i dodici mesi per i reati più gravi e i sei per quelli minori, contro i tre anni previsti in precedenza, che spesso diventavano una condanna extragiudiziale comminata arbitrariamente. Altro passo avanti cruciale riguarda le confessioni, da oggi valide come prova solo se prodotte in tribunale, mentre finora erano valide anche se estorte dalla polizia nei commissariati – con metodi che si possono immaginare. Vengono poi introdotti concetti e pratiche “civili” come gli arresti domiciliari, la libertà su cauzione, la possibilità del concordato (davanti al giudice) tra parti lese e offensori, la responsabilità penale dei funzionari di polizia che sbagliano; infine, viene introdotta la giuria nei processi – almeno in quelli per reati gravi per i quali è possibile la condanna all’ergastolo.

Tutte cose positive: ma con dei lati che possono invece portare a riflessi negativi. In primo luogo, perché buona parte dei “vantaggi” che il nuovo codice riconosce agli imputati sono in effetti alla portata solo di chi non ha problemi economici: non solo per la libertà su cauzione, ma anche perché le nuove, vaste attribuzioni di competenza agli avvocati cadono in una situazione in cui questi ultimi sono ancora pochi, cari e per nulla disposti a offrire gratuito patrocinio; mancano gli avvocati d’ufficio e niente fa credere che tutto ciò possa cambiare in tempi brevi. Inoltre  molti sospettano che le nuove misure finiscano per ampliare la già vasta discrezionalità dei giudici – e con essa la propensione a farsi corrompere, già altissima.

Infine, e collegata a quest’ultima considerazione, resta il fatto che la legge può esser ben studiata quanto si vuole, ma gli uomini chiamati ad applicarla – poliziotti, avvocati, magistrati e guardie carcerarie – restano gli stessi di prima, con la stessa mentalità e le stesse pessime abitudini: per arrivare a un “clima giuridico” davvero nuovo, che faccia uscire il paese dall’attuale stato di “barbarie giudiziaria” (come è stata definita dai legislatori che hanno curato il nuovo codice), ci vorranno probabilmente molti anni di lavoro. Da qualche parte, comunque, bisogna pur incominciare…

La leader di Femen respinta dalla Russia

Anna Hutsol (a destra nella foto) durante una conferenza stampa

Anna Hutsol, leader del gruppo ucraino Femen noto per le provocatorie proteste politico-religiose condotte dalle sue attiviste a seno scoperto, è stata bloccata all’aeroporto di San Pietroburgo e rispedita in Francia, da dove proveniva. La notizia è stata data dalla polizia di frontiera russa, senza spiegazioni sui motivi del divieto d’ingresso in Russia. Hutsol, cittadina ucraina, non ha bisogno di visto per entrare in Russia dunque deve essere su una “lista nera” di persone sgradite. Di recente il gruppo Femen, che inizialmente pareva essenzialmente puntare a un folclorismo mediatico tollerato senza problemi dalle autorità di Kiev, ha politicizzato molto le sue iniziative – ora centrate sempre sui diritti delle donne e sulla polemica contro la chiesa ortodossa (e non solo) – ed è finito nel mirino del governo ucraino, al punto da doversi trasferire a Parigi. Ancora il mese scorso la polizia di Kiev ha fermato Anna Hutsol per interrogarla in merito a una delle azioni di Femen che hanno suscitato più scalpore, l’abbattimento di una croce di legno in un parco della capitale. In Russia il gruppo non ha mai compiuto azioni eclatanti, ma si è schierato con veemenza a difesa delle attiviste del gruppo punk-femminista Pussy Riot processate e condannate per teppismo e istigazione all’odio religioso.

Ultime da Kiev

In fila per votare a Kiev

I risultati finali – non quelli ufficiali, che ci saranno solo fra qualche giorno – delle elezioni politiche ucraine mostrano un quadro leggermente diverso da quello che sembrava  emergere: meno positivo per Viktor Yanukovich e il suo governo. Il “Partito delle Regioni”, la formazione del presidente, ha ottenuto solo il 30,2 per cento dei voti validi e potrà contare su 188 seggi alla Rada (73 col proporzionale e 115 nel maggioritario). Per formare una maggioranza dovrà per forza confermare l’alleanza col Partito comunista, che ha avuto un ottimo successo con il 13,25 per cento e 32 seggi (tutti nel proporzionale) e con un congruo numero di candidati indipendenti (o di micro-partiti personali), che hanno ottenuto 50 seggi nel maggioritario.

Sul fronte dell’opposizione, il blocco “Patria” dell’ex premier Yulija Timoshenko ha raggiunto il 25,4 per cento e potrà contare in parlamento su 104 seggi (61 nel proporzionale e 43 nel maggioritario), alleandosi certamente con il partito “Colpo” del pugile Vitaliy Klitschko, forte del 13,9 per cento dei voti e di 40 seggi (34 nel proporzionale e 6 nel maggioritario). A loro si unirà probabilmente – nell’opporsi al governo, quantomeno – il partito ultranazionalista “Libertà”, che ha ottenuto da parte sua un buon risultato con il 10,9 per cento dei voti e con 36 seggi (25 proporzionale, 11 maggioritario).  La navigazione per Yanukovich non si prospetta facile. Tantopiù che i risultati del voto nella capitale Kiev sono stati peggiori, per lui, di ogni aspettativa: in tutti e 13 i distretti elettorali della “grande Kiev” hanno vinto i candidati dell’opposizione, che nel complesso ha portato a casa circa il 75 per cento dei voti espressi.

Ucraina, vince il governo

Risultati contrastanti, fra exit poll e primi dati scrutinati: ma in tutti i casi non sembra in dubbio la vittoria – come era facilmente prevedibile – del partito delle regioni del presidente Viktor Yanukovich, che otterrebbe la maggioranza relativa (oscillante dal 28 al 38 per cento a seconda delle rilevazioni) nei seggi del collegio unico nazionale dove si vota col proporzionale e una fortissima maggioranza assoluta nei 225 seggi attribuiti nei collegi uninominali (dove si vota col maggioritario).

Al secondo posto si piazzerebbe l’alleanza liberale “Patria” dell’ex premier (ora in carcere) Yulija Timoshenko, con il 24 per cento circa dei voti, mentre al terzo sarebbe il nuovo partito fondato dal campione mondiale (in carica) dei pesi massimi Vitaliy Klitschko, “Udar” (colpo), con il 15 per cento circa dei suffragi. Risultati molto buoni otterrebbero anche il Partito comunista e i nazionalisti di destra, mentre fallisce totalmente, con meno del 2 per cento dei suffragi, secondo i primi dati, il nuovo partito liberale che aveva arruolato il popolarissimo calciatore Andriy Shevchenko. Nel corso della giornata i risultati dovrebbero diventare definitivi.

Ucraina alle urne

Seggio elettorale a Kiev

Sono in corso le operazioni di voto in Ucraina per il rinnovo della Rada (parlamento), fra accuse e recriminazioni che fanno temere (o sperare, a seconda dei punti di vista) una ripetizione dello scenario di otto anni fa, quando l’esito delle elezioni presidenziali, falsato da frodi e brogli, venne contestato e poi azzerato dalla “rivoluzione arancione”, con l’attivo sostegno degli Stati uniti e dell’Unione europea. Oggi, nonostante le condizioni abbastanza serie in cui versano i conti del paese e quelli della maggior parte dei suoi abitanti, la campagna elettorale si è chiusa quasi senza parlare di economia, mentre tutta l’attenzione, interna e internazionale, è rimasta puntata quasi esclusivamente sulla politica (cioè sulla deriva autoritaria del governo) e sul processo elettorale stesso, monitorato, come il voto, da un’enorme quantità di osservatori.

Per la maggior parte dei media occidentali, e ovviamente per l’opposizione liberale e nazionalista, la questione della “pulizia” e correttezza delle elezioni non si pone neanche: da tempo la strategia scelta è quella di delegittimare “a priori” i risultati elettorali, affermando che saranno comunque falsati, sia da veri e propri brogli, sia dall’incarcerazione della leader arancione Yulija Timoshenko, sia soprattutto dal fatto che il governo – guidato dal premier Mykola Azarov – usa senza ritegno minacce, pressioni e risorse pubbliche per imporre i propri candidati o comprare i più forti candidati indipendenti. Le accuse sono state amplificate dall’organizzazione di monitoraggio elettorale Opora (fortemente sovvenzionata dall’Occidente e in particolare dal Canada, dove risiede la più forte comunità di espatriati ucraini), che ha già rilevato e reso pubbliche centinaia di violazioni della legge elettorale da parte del Partito delle Regioni, prima ancora del voto. Figurarsi dopo. E’ una strategia che ricalca come detto quella che portò alla Rivoluzione arancione dell’inverno 2004-2005 ma che oggi difficilmente potrà portare risultati, visto che la popolazione non sembra particolarmente incline a scendere in piazza per contestare l’eventuale (assai probabile) vittoria del partito di Yanukovich. Tra gli ucraini – che pur si recano alle urne disciplinatamente – sembrano piuttosto prevalere la sfiducia e il distacco nei confronti dell’intera classe politica, o perlomeno di quella che fa capo ai due schieramenti principali, ritenuta (non a torto) tutta quanta corrotta e arrogante. Sarà in questo senso interessante vedere i risultati dei due partiti outsider: “Udar”, colpo, creato dal pugile campione mondiale in carica dei pesi massimi WBC, Vitaliy Klychko, e alleato con gli arancioni; e “Ucraina-Avanti!”, della giovane Natalia Korolevska, un’imprenditrice che sosteneva la Timoshenko ma quest’anno l’ha lasciata lanciando un suo proprio movimento indipendente (che secondo molti mira ad allearsi con i “regionali” in cambio di qualche posto governativo) e spendendo un’enormità di quattrini per una campagna elettorale massiccia e pervasiva che ha arruolato fra gli altri anche il popolare calciatore Andriy Shevchenko.

Non si può dire comunque che l’opposizione liberal-nazionalista, guidata da Arseny Yatsenyuk, stia facendo molto per vincere: è vero che i diversi partiti hanno compiuto uno sforzo per unificarsi in un cartello elettorale più compatto e robusto, ma il programma di questo cartello non brilla per parole d’ordine trascinanti e in ultima analisi si riduce al concetto di “liberare il Paese da Yanukovich”. Le proteste per gli “attentati alla libertà” si riducono alla fine alla sola richiesta di far uscire di galera la Timoshenko; quelle per il “bavaglio alla libertà di stampa” non sembrano sensate, visto che la maggior parte dei grandi media sono nelle mani di oligarchi che dividono le loro simpatie equamente fra l’opposizione e il governo; anche la legge sulla diffamazione a mezzo stampa, che avrebbe introdotto pene detentive severe per i colpevoli di articoli denigratori e che era stata considerata uno strumento per intimidire e neutralizzare i media e le loro inchieste sulla corruzione governativa, è stata ritirata e se ne riparlerà solo dopo le elezioni. C’è poi la questione della nuova legge sulla lingua (in base alla quale il russo è diventato seconda lingua ufficiale nelle regioni dove c’è una consistente minoranza russofona), che ha diviso il Paese e provocato molte tensioni con i nazionalisti: ma è un tema che in definitiva rafforza la base sociale del Partito delle Regioni (che ha mantenuto una sua promessa) e che non mobilita più che tanto gli avversari, solo alcuni dei quali sono nazionalisti convinti. Resta infine l’argomento dei modesti successi che il governo può ascrivere a suo merito: il discreto successo (in termini di incassi e di nuove infrastrutture) degli Europei di calcio, la sordina (temporanea) messa ai litigi con la Russia e poco altro.

Nonostante i sondaggi, i pronostici sull’esito del voto restano piuttosto incerti. Il nuovo sistema elettorale “a due livelli” (metà dei 450 seggi della Rada sono assegnati nel collegio unico nazionale su liste di partito col proporzionale, l’altra metà viene eletta in 225 collegi uninominali) complica notevolmente le previsioni: il cartello dell’opposizione unita – cioè il blocco “Patria” della Timoshenko alleato con il partito “Udar” di Klychko – dovrebbe avere la maggioranza relativa (intorno al 36-38 per cento) nel voto proporzionale, contro meno del 30 per cento per il Partito delle Regioni; ma nei collegi uninominali la situazione sarebbe invece totalmente favorevole a quest’ultimo, che potrebbe nel complesso non solo conquistare la maggioranza assoluta dei seggi ma forse addirittura arrivare vicino alla soglia dei due terzi (300 seggi) necessaria per cambiare la costituzione. Se non ci riuscirà, risulteranno un’altra volta decisivi, come nella Rada uscente, i candidati indipendenti e i partiti minori: in particolare i comunisti del PcU (oggi alleati dei “regionali”) e la destra nazionalista del partito “Svoboda” (libertà), gli unici per i quali è dato per certo il passaggio della soglia di sbarramento del 5 % dei voti.

A Kiev, patrioti e/o traditori

La manifestazione dei nazionalisti ucraini a Kiev

Ancora la storia al posto della politica, nell’Europa dove il passato non vuol passare. Diecimila persone si sono radunate oggi a Kiev intorno al monumento al poeta Taras Shevchenko e hanno poi sfilato per celebrare il 70mo anniversario della creazione dell’UPA (Ukrainska Povstanska Armija), l’esercito insurrezionale ucraino che fra il 1942 e la fine degli anni ’40 combattè prima a fianco dei tedeschi contro i partigiani polacchi che operavano nelle regioni occidentali dell’attuale Ucraina (ma che fra il 1918 e il 1939, e per secoli prima del ‘700 erano polacche), poi contro i tedeschi e infine di nuovo insieme a loro contro l’Armata Rossa. Dopo il 1945 l’UPA continuò per anni una guerriglia senza quartiere contro le forze di sicurezza sovietiche, terminata solo con l’uccisione del suo capo militare, il generale Roman Shukhevic, nel 1950 a L’viv.  Nel 1959, a Monaco di Baviera, agenti del KGB assassinavano anche lo storico leader politico del nazionalismo ucraino e dell’UPA, Stepan Bandera.

La memoria dell’UPA (e del partito che lo rappresentava politicamente, l’OUN, organizzazione dei nazionalisti ucraini) ha costituito sempre un fattore estremamente divisivo nell’Ucraina indipendente. Vista da alcuni (nelle regioni occidentali del Paese, con un passato di dominazioni polacche e asburgiche, dove la supremazia russo-sovietica è stata imposta solo nel ’45) come una formazione di eroici patrioti, da elevare a simbolo della nazione ucraina, e da altri (nell’est, appartenente all’impero zarista fin dal Seicento) come una banda di traditori e assassini, responsabili di orrendi massacri di civili e di ebrei, la sua vicenda è stata usata in modo pesante nella politica ucraina recente. Nel 2007 l’allora presidente Viktor Yushenko conferiva alla memoria dei due leader uccisi la più alta onorificenza nazionale, quella di Eroe dell’Ucraina, istituendo una festa nazionale nella ricorrenza della fondazione dell’UPA; nel 2011 l’attuale presidente Viktor Yanukovich ha annullato quelle decisioni. A livello locale, il municipio di L’viv ha fatto traslare le salme dei dirigenti dell’UPA in una nuova sezione monumentale dello storico e bellissimo cimitero cittadino, appositamente dedicata agli “eroi dell’indipendenza nazionale”.

Oggi, i nazionalisti ucraini del partito di opposizione “Svoboda” (libertà) hanno raccolto parecchie migliaia di persone dietro i cordoni di testa formati da un gruppo di reduci dell’UPA, sotto le bandiere azzurre del partito e quelle rosso-nere dell’esercito insurrezionale, portando ritratti di Bandera e Shukhevic, e hanno sfilato per la città protetti da un folto schieramento di polizia.

Scontri linguistici a Kiev

Scontri fuori dal parlamento a Kiev

Botte da orbi oggi fuori dalla Rada (parlamento) di Kiev, dopo la definitiva approvazione da parte dei deputati della legge che cambia lo status legale delle lingue parlate nel paese, in particolare della lingua russa. Il testo della nuova legge, passata ieri sera non senza tumulti e risse dentro il parlamento, prevede che l’ucraino resti comunque l’unica lingua ufficiale nazionale, ma introduce la categoria di “lingua regionale” per gli idiomi che in una data regione amministrativa siano parlati da almeno il 10 per cento della popolazione residente; tali idiomi potranno essere usati – nelle rispettive regioni – per atti amministrativi, nelle scuole, nei tribunali e nelle trasmissioni radiotelevisive di emittenti pubbliche.

Anche se la legge include lingue come l’ungherese, lo slovacco e il rumeno (parlate da minoranze residenti in alcuni distretti), il nocciolo della disputa e delle violente contestazioni riguarda il russo, che è lingua nativa per quasi un quarto della popolazione ucraina ed è lingua maggioritaria in numerose regioni dell’est e del sud, e minoritaria (ma sopra la soglia del 10 per cento) in quasi tutte le altre regioni. In pratica quindi il russo si trova innalzato quasi al rango di seconda lingua nazionale. Inoltre, essendo il russo una lingua molto più “utile” nel mondo rispetto all’ucraino, ed essendo comunque conosciuta praticamente a tutti gli abitanti, l’innalzamento del suo status legale potrebbe certo disincentivare molti dallo studio e dalla pratica dell’ucraino.

Per gli avversari della legge – cioè tutti i partiti che oggi stanno all’opposizione rispetto al regime del presidente Viktor Yanukovich – il nuovo provvedimento mira soltanto ad aumentare le distanze fra le diverse parti del paese, dando alle regioni russofone un potente strumento in più per seguire una propria politica autonoma. Le regioni russofone sono quelle dove Yanukovich e il suo Partito delle Regioni hanno la più solida base elettorale e il presidente, nel corso della sua vittoriosa campagna elettorale, si era impegnato con gli elettori a far adottare una legge che proteggesse i diritti culturali della popolazione russofona.

All’epoca, l’opposizione più decisa contro la “promozione” della lingua russa era venuta solo dai partiti minori della destra nazionalista, compreso quello dell’ex presidente Viktor Yushenko, mentre il partito di Yulija Timoshenko aveva assunto una posizione più prudente (la stessa Timoshenko viene da una regione russofona); più tardi, dopo che la ex premier è stata processata e condannata fra le proteste occidentali per una vicenda non proprio limpida, anche il suo partito si è schierato a corpo morto contro la legge nel tentativo di affossarla.

L’approvazione della legge, che ha avuto un iter lungo e tormentato essendo stata presa dall’opposizione come bersaglio simbolico da abbattere ad ogni costo, è stata accolta dentro al parlamento da sonore proteste e dall’annuncio delle dimissioni di diversi deputati; all’esterno i militanti chiamati dai partiti di opposizione hanno dato vita a un vero e proprio assedio della Rada, spezzato dalla polizia a suon di botte e lacrimogeni mentre contro gli agenti volavano bottiglie e sassi. Al termine si sono contati numerosi feriti. Ma il nodo più delicato è rappresentato dallo schieramento dello speaker del parlamento Volodymyr Lytvyn con i contestatori. Lytvyn ha promesso che non firmerà mai la legge nella sua forma attuale e piuttosto si dimetterà; ma le sue dimissioni potrebbero in pratica togliere a Yanukovich e al suo partito la maggioranza alla Rada. Yanukovich ha minacciato di ricorrere a elezioni politiche anticipate se la Rada si dovesse ritrovare paralizzata, e nel frattempo i suoi stanno cercando di convincere Lytvyn (che non è nuovo ai bruschi cambi di schieramento, essendo stato alleato praticamente con tutti nella sua lunga carriera) a modificare la sua posizione.

Incubi ucraini

Dopo le bombe a Dnipropetrovsk

A poche settimane dal via, la festa per i campionati europei di calcio in Ucraina si sta trasformando in un incubo: alle proteste internazionali per la detenzione dell’ex premier Yulija TImoshenko si sono aggiunte le bombe nelle strade, mentre l’Europa del calcio è su tutte le furie per l’incredibile speculazione in atto sul prezzo di alberghi e ostelli. Nei fatti, l’Ucraina rischia di veder disertate le partite che si svolgeranno nei suoi stadi.

L’organizzazione dell’evento, assegnata in partnership a Ucraina e Polonia, è la più importante vetrina internazionale di cui Kiev abbia avuto modo di disporre da vent’anni a questa parte: l’assegnazione era stata una scelta politica europea, nel 2007, per premiare e incoraggiare l’allora leadership “arancione” del paese, ma da allora a oggi molte cose sono cambiate e il senso della vicenda si è ribaltato. Oggi che al posto di comando c’è Viktor Yanukovich, fautore di una politica indipendente sia da Mosca che dall’Occidente ma chiaramente incapace di governare senza ricorrere a violenza e arbitrio, il disastro appare totale e l’Europa sta alimentando un vero e proprio ostracismo nei suoi confronti. Con argomenti non secondari: è vero per esempio che il governo ha lasciato mano libera agli speculatori e che i prezzi degli alberghi nelle città che ospiteranno le partite del torneo sono schizzati alle stelle, decuplicati rispetto al normale. E’ vero anche che la raffica di bombe esplose due giorni fa nella città di Dnipropetrovsk (29 feriti, alcuni gravi) ha pienamente raggiunto il suo scopo, che era evidentemente di dimostrare l’incapacità del governo di garantire la sicurezza durante i campionati e quindi di scoraggiare i visitatori. Ed è vero infine che Yanukovich e il suo governo non sono stati minimamente capaci di gestire in modo ragionevole l’affaire Timoshenko, lasciandolo montare fino a diventare uno spaventoso autogol con le violenze inflitte in carcere alla ex premier malata.

Quali che siano le effettive responsabilità giudiziarie dell’irriducibile Yulija (e certamente sono grandi, il suo passato è tutto fuor che limpido), dal momento in cui è stata condannata era necessario che lo Stato ne garantisse in modo rigoroso la salute e i diritti, mentre invece è stato fatto ogni pasticcio possibile alimentando sempre più le proteste internazionali. Ora tutti i governi europei – compreso quello teoricamente amico di Vladimir Putin – chiedono rumorosamente che la Timoshenko venga liberata, le sue colpe sono di fatto sparite di scena e le autorità ucraine si sono attirate addosso, probabilmente in modo irrimediabile, la fama di persecutori selvaggi e incivili. Al punto che probabilmente Yanukovich dovrà intervenire personalmente e ordinare la liberazione dell’ex rivale per salvare il salvabile prima dei campionati.