A venti giorni di distanza dal fatto, il massacro di Kushchevskaya – inizialmente considerato un fatto di ordinaria seppur atroce cronaca nera – sta diventando un “caso” politico di prima grandezza: una vicenda che mette a rischio la brillante carriera di uno dei più importanti governatori della Russia, nonché la credibilità del presidente Medvedev. Riepiloghiamo i fatti. Il 4 novembre scorso nella casa di campagna di Severer Ametov, un agricoltore benestante del villaggio di Kushchevskaya (regione di Kuban, nel sud della Russia) vengono trovati dodici cadaveri, otto adulti e quattro bambini, assassinati a coltellate salvo due bambini (il più piccolo aveva solo 8 mesi) strangolati. Tutti i corpi sono anche bruciati, perché i killer dopo la strage hanno dato fuoco alla casa. Le vittime appartengono a due famiglie: quella di Ametov e quella di un suo conoscente venuto da Krasnodar per festeggiare una ricorrenza.
La casa del delitto a Kushchevskaya
Le indagini portano in pochi giorni all’arresto di numerosi sospetti, tutti giovani sotto i 24 anni residenti nella zona, già noti alla polizia per vari atti di piccola – e a volte non tanto piccola – criminalità; tra loro finisce in prigione anche tal Sergei Tsapok, membro del consiglio comunale di Kushchevskaya. Sul posto arrivano ovviamente anche nugoli di giornalisti, e a loro, più che alla polizia, alcuni abitanti del posto rivelano che la gang da anni terrorizzava gli abitanti, imponendo il “pizzo” sugli affari e mettendo in atto estorsioni con minacce e violenze, senza esser minimamente disturbata dalla polizia.
Mentre ci si chiede quale possa esser mai stata la motivazione per un delitto così spaventoso – antipatie personali, vendetta per antichi sgarbi, debiti di gioco, una rapina finita male – e nessuna di queste ipotesi pare aver senso, cominciano anche le domande scomode. Che ci fa un noto teppista violento in un consiglio comunale? Perché le autorità e la polizia hanno permesso a gente del genere di spadroneggiare a piacimento nella zona per anni e anni? E’ vero che c’è stata addirittura un’aperta complicità con i criminali, tanto che adesso gli abitanti hanno paura a parlare?
Il caso diventa in fretta uno scandalo nazionale. Tutti ne parlano, al punto che anche il Cremlino interviene sulla vicenda e chiede – sia pure in termini generali, senza far nomi precisi – che si vada a fondo nella ricerca delle “responsabilità personali”, senza fermarsi di fronte a cariche ufficiali. Il tutto suona molto male per l’uomo che di fatto esercita l’autorità massima nella regione, cioè il governatore Aleksandr Tkachev, uno dei personaggi più potenti del paese. Eletto dieci anni fa alla guida del kraj del Kuban (con oltre l’80 per cento dei voti!) e riconfermato due volte, è stato anche per cinque anni deputato alla Duma di Stato ed è oggi il sovrintendente ai lavori di preparazione per le Olimpiadi invernali del 2014 a Sochi (che è appunto nel Kuban), cioè ha in mano le carte per uno degli appuntamenti internazionali cruciali della Russia, nonché per la ripartizione di un giro di quattrini enorme. E dunque, come mai Tkachev non si è accorto che da anni una gang di assassini faceva il bello e il cattivo tempo nella regione, probabilmente protetta dalla polizia? Non sarà che al governatore faceva comodo tenere coperta una situazione scomoda, e magari usare quei “ragazzacci” per “risolvere problemi” nel territorio?
Una risposta, Tkachev ha provato a darla ieri, indicendo un’assemblea pubblica a Kushchevskaya e presentandosi per rassicurare gli abitanti: “Non avete niente da temere, tutto è sotto controllo e i responsabili di questo delitto finiranno sicuramente tutti in prigione. Se così non fosse, mi dimetterei subito”. Il tutto tra applausi scroscianti del centinaio di persone riunite ad ascoltarlo. Peccato però che per i giornalisti presenti non sia stato difficile scoprire che l’assemblea non era stata minimamente annunciata alla popolazione e che la piccola folla presente era fatta per metà di funzionari regionali e poliziotti, per l’altra metà da gente “sicura” portata sul posto in pullmann dal capoluogo Krasnodar. Niente domande scomode, niente contestazioni.
Troppo facile, e non poteva risolvere niente. Oggi a Mosca sono arrivati altri manifestanti, da Kushchevskaya e da tutto il Kuban, per protestare in piazza e chiedere le dimissioni di Tkachev. Per il presidente Medvedev è un grave imbarazzo: lasciare il governatore tranquillamente al suo posto significa ammettere l’impotenza, anzi, l’inutilità dei propri inviti alla trasparenza e alla responsabilità, per giunta in un caso così atroce da sconvolgere l’opinione pubblica nazionale; agire e toglierlo dalla carica – senza peraltro che si sia ancora delineata una responsabilità specifica di qualche genere – significa sconfessare l’operato di polizia e magistratura (che non hanno minimamente chiamato in causa il governatore o altre autorità) e mettere molto a rischio la stabilità amministrativa, lì come altrove, in vista dell’importantissimo appuntamento olimpico (del resto, Medvedev non è nemmeno riuscito a fare pulizia nel comune di Khimki, i cui amministratori sono probabilmente coinvolti in una serie di orribili aggressioni contro giornalisti a proposito della famigerata autostrada nel bosco).
E intanto, restano insoluti anche i quesiti più strettamente giudiziari sollevati dal massacro di Kushchevskaya: in particolare, nonostante gli arrestati abbiano a quanto sembra confessato la loro colpevolezza, non si sa ancora perché abbiano agito e chi li abbia mandati a sterminare due famiglie…