Morto a Mosca il "Giapponesino", ex re della mala

L’Ufficio investigativo della Procura federale russa, comunica l’agenzia di stato Itar-Tass, ha confermato oggi ufficialmente la morte, avvenuta in un ospedale moscovita, di Vyacheslav Ivankov, 69 anni, meglio conosciuto come “Yaponchik” (giapponesino) fin dai tempi in cui era una delle figure più note della malavita sovietica. Ivankov era stato ricoverato la sera del 28 luglio scorso, con gravi ferite all’addome provocate dai colpi di fucile di due cecchini che gli avevano sparato mentre usciva da un caffè alla periferia nord della capitale.

Ivankov quando era in carcere negli Usa

Ivankov quando era in carcere negli Usa

La sua è una storia decisamente singolare: si è portato dietro fino all’ultimo, sia in patria sia negli Stati uniti dove ha vissuto per dieci anni, una fama di criminale particolarmente feroce e iper-violento, ma nessuno ha mai potuto legare il suo nome a un singolo omicidio; ha ricevuto pesanti condanne ma ha sempre trovato, tanto in Russia quanto negli Usa, dei misteriosi protettori che si sono incaricati di facilitargli la vita. Ha trascorso comunque quasi vent’anni in varie prigioni di due continenti, ma sempre per reati relativamente minori come rissa, estorsione, falsificazione di documenti, porto d’armi illegale, traffico di stupefacenti.

E sì che, a differenza di altri grandi boss criminali che non si sporcavano mai le mani personalmente, Ivankov era noto per essere sempre personalmente alla guida dei suoi uomini impegnati in attività delittuose. La sua prima condanna, per una rissa in un bar (il giovane Ivankov era una promessa della lotta libera), risale agli anni ’50; tornato libero, iniziò subito a far parte delle bande di teppisti del quartiere, quindi a guidarle in una catena di rapine ed estorsioni (la sua specialità era la falsificazione di documenti della polizia, che poi usava per entrare nelle case e rapinarle), entrando e uscendo dalle galere fino alla condanna a 14 anni inflittagli nel 1982. In carcere divenne ancor più famoso di quanto non fosse da libero: la sua personalità fortissima e i suoi precedenti (circolavano voci che lo volevano responsabile di svariati omicidi, anche se in tribunale non ne fu neppure accusato) ne fecero il più noto dei “vory v zakone” (espressione gergale del mondo carcerario russo che si traduce con “ladri nella legge”) cioè delle “autorità” malavitose.

Fatto assai singolare per il sistema sovietico, Yaponchik fu rimesso in libertà con sei anni di anticipo – si dice per l’intervento a suo favore di un paio di nomi illustri della politica – proprio nei mesi convulsi del ’91 in cui l’Urss si squagliava nel caos. Fatto ancor più curioso, nonostante i suoi palesi e assai poco rassicuranti precedenti e nonostante un esplicito avvertimento da parte del ministero dell’interno russo (che segnalò al Fbi l’intenzione del nostro di mettersi alla testa della “mafia russa”), ottenne senza problemi un visto “business” per gli Stati uniti e vi si trasferì nel 1992 – si dice, per sfuggire a certi suoi “colleghi” russi diventati troppo aggressivi.  Non passò molto prima che effettivamente Ivankov diventasse il capo della famigerata “gang di Brighton Beach” (il quartiere di Brooklyn dove si concentrano gli emigrati russi, ebrei e no) e si dedicasse con passione alle estorsioni e ai ricatti, alla testa di un centinaio di uomini. Già nel 1995, però, venne arrestato dal Fbi durante un tentativo di estorcere alcuni milioni di dollari da una ditta russa di New York; e dopo un processo durato un anno, condannato a 15 anni sulla base di prove tutt’altro che convincenti.

Nel 2004, il ritorno in Russia: la Procura di Mosca lo incrimina per l’omicidio di due cittadini turchi avvenuto in un ristorante della capitale nel 1992 e rimasto insoluto; le autorità americane stranamente accolgono la richiesta di estradizione avanzata dalla magistratura russa e spediscono Yaponchik a Mosca. Qui, nel 2005, il colpo di scena: Ivankov viene processato, riconosciuto innocente e rilasciato in libertà (di nuovo, si mormora, per l’intervento di “qualcuno”). Da allora, pare, il Giapponesino tiene un basso profilo: non fa più parlare di sè e non ci sono più notizie su sue partecipazioni a imprese criminali di qualche genere. Fino a quest’anno, quando tornano a girare le voci di incontri fra Ivankov e altri, più giovani capibanda. Incontri che evidentemente devono aver disturbato qualcuno, che ha deciso fosse giunto il momento di sbarazzarsi di un personaggio ancora troppo ingombrante.

2 Responses to Morto a Mosca il "Giapponesino", ex re della mala

  1. zardirussia says:

    ahahhaha top sei troppo spiritosa ahahahahahah cmq hai ragione

  2. top says:

    ecco, questo per esempio è già morto.. mannaggia